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NON PIU' SALENTO DA SFRUTTARE!

sabato 15 maggio 2010

28 marzo 1997: strage di Stato nel Canale d’Otranto!

Antonio Catalano

C


«La tragedia del canale di Otranto noi l’abbiamo subìta. È stato un colpo molto forte per noi. Vi dico la sincera verità: da quel momento fino ad oggi non ci va di far niente, ci sentiamo distrutti. Sicuramente diamo la colpa in un modo assoluto al governo italiano. Una nave di militari con una barca di poveracci. Praticamente, non ci vuole nessuna analisi. E’ inutile fare analisi della dinamica dell’incidente, era qui, si trovava di là (...). Le dimensioni delle due navi già dicono di chi è la colpa».


on queste parole si esprimeva un emigrato albanese in Italia nell’aprile del 1997 in una pubblica assemblea in cui si discuteva dei fatti accaduti nel Canale d’Otranto. Per i più giovani è utile ricordare. In un’Albania sconvolta dalla crisi pilotata dall’imperialismo, in cui scoppia l’affare delle finanziarie truffa (le Piramidali), in un clima di rivolta e confusione generalizzata fuggono in 15.000 su barche, navi civili e militari. L’allora governo Prodi si dichiara disponibile all’accoglienza “umanitaria”, ma appena si comincia a parlare di inviare una missione militare europea in Albania il governo italiano assume tratti da duro nella speranza di poter avere il comando della missione militare. Inizia così una campagna diffamatoria verso gli albanese, questi sono raffigurati come topi che salgono sulle navi e capaci di invaderci pericolosamente. I partiti fanno a gara nel dipingere gli albanesi come sporchi, brutti e cattivi. La Lega arriva a proporre il test obbligatorio dell’Aids. Nel Corriere della sera del 27 marzo 1997, l’ancora leghista Irene Pivetti incita a ributtare in mare gli albanesi. E sarà subito accontentata! Un naviglio stracarico di albanesi che cercava di raggiungere le coste pugliesi, la Kater I Rades sarà speronata e affondata da una nave della Marina militare italiana, la Sibilla, in ossequio ad una norma voluta dall’allora governo di centro-sinistra (Prodi) che stabiliva il blocco militare dell’Adriatico. Alle tre del pomeriggio del 28 marzo 1997 salpano dal porto albanese di Valona più di 140 persone (intere famiglie, molte le donne, tantissimi i bambini). La Kater I Rades è una piccola motovedetta militare prevista per trasportare solo nove marinai. Come detto, l’Italia schierava diverse navi nel Canale d’Otranto, con il compito di bloccare le “carrette albanesi”. La Kater ha doppiato da poco il capo dell’isola Karaburun, quando è intercettata dalla fregata italiana Zeffiro che le intima di invertire la rotta. Verso le 17.30, la Kater, è presa “in consegna” da un’altra grande nave italiana, la Sibilla, che comincia ad avvicinarsi pericolosamente alla motovedetta albanese. Alle 18.45 la prua della Sibilla colpisce la Kater, solo pochi riusciranno a salvarsi nuotando, fino a raggiungere la Sibilla, nelle acque gelide, gli altri affonderanno negli abissi del Canale d’Otranto. Almeno 108 persone mancano all’appello!

Riprendo alcune parti dell’intervento dell’immigrato albanese: «Noi albanesi abbiamo vissuto una realtà priva di libertà, in quel senso in cui viene interpretata dall’Occidente, soprattutto la mancanza del voto libero, però (...) bisogna pure riconoscere il grande contributo che ha dato quel sistema che alla fine qualcosa ha creato, malgrado tutti i lati negativi (…) quel sistema ha dato istruzione a tutti gli albanesi, non lo dobbiamo scordare. In Albania le scuole hanno raggiunto le montagne, le scuole superiori, non le scuole medie. Il livello dei laureati e degli universitari è molto alto in Albania, o meglio era molto alto, perché in questi cinque anni è ricominciato di nuovo l’analfabetismo. Nelle montagne albanesi prima si andava a scuola, c’era magari la povertà, però anche un po’ di felicità. Ora solo la povertà è rimasta, non è che l’hanno eliminata. Oltre a questo hanno tolto tutti i lati positivi, tutte le forme di assistenza. Hanno eliminato l’insegnamento, hanno chiuso le scuole, hanno chiuso gli ospedali, hanno distrutto tutto, in questi cinque o sei anni (...). In questi anni Berisha e i suoi hanno distrutto le scuole, la sanità, la previdenza, tutti quei pochi diritti che la dittatura garantiva. Hanno distrutto tutto, ed oltre a questo hanno creato quella vita che si sa. All’inizio hanno fatto le privatizzazioni, a due lire, di tutto il patrimonio dello stato albanese creato per 45-50 anni. Lo facevano tramite l’emissione dei titoli di stato e li svalutavano praticamente da mille lire che costavano nel giorno di emissione, subito a cento lire. Questo è il mercato. Le aziende le hanno privatizzate al 10% del valore che avevano nella realtà. Valevano un milione, in realtà si compravano a centomila lire. (…) Hanno distrutto l’agricoltura portando un concime, – durante la campagna elettorale non si sentiva parlare di altro tra i contadini, soltanto di questo: "ci portate il concime buono o no?"–. Lo pagavano caro e bruciava la pianta. Ecco l’aiuto di quel concime che veniva dall’America.

Scheda storica

L’Albania di Hoxha si dichiarava “comunista”, ma al di là della questione se si potesse o meno definire così, quel che importa è che questo paese aveva compiuto una rivoluzione nazionale (come nella vicina Jugoslavia) cacciando l’imperialismo dal proprio suolo (Italia per prima) ed assicurando un processo di costruzione di un mercato nazionale non dettato dagli interessi delle centrali imperialiste. Quale era, allora, la situazione in Albania prima del “socialismo” guidato da Enver Hoxha? Se non si conosce la situazione precedente è molto difficile capire.

Quando alla fine della 2a guerra mondiale conquistò l'indipendenza politica, l'Albania era un paese arretratissimo. Oltre il 90% della popolazione – un milione di abitanti – viveva nelle campagne, dove dominavano il feudalesimo e il tribalismo. Sette famiglie detenevano il 3,7% delle terre coltivabili (2.080 ha. a testa in media), 4.713famiglie (con 19 ha. in media a testa) il 23,1 %, 128.960 famiglie (con un i ha. in media ciascuna) il 60,4%; 21.500 famiglie non possedevano niente e lavoravano in cambio di una rendita in prodotti (da 113 a 112) le terre dei latifondisti.

Il paese era pressoché sprovvisto di acquedotti, linee elettriche e fognature. Ferrovie neanche a parlarne. Le strade, perla gran parte mulattiere. Le pianure costiere erano invase da paludi malariche per più di 100. 000 ha. (un quarto delle terre coltivate).

Qualche modesto impianto per l'estrazione del petrolio e un paio di fabbriche di sigari e sigarette – gli uni e le altre in mano al capitali e italiano – rappresentavano tutta l'industria del paese (3,9% del PNL). 13.000 operai che vi lavoravano, privi di ogni diritto politico e sindacale, erano torchiati per 12114 ore al giorno.

Il tasso di analfabetismo era dell'85-90% (94-95% tra le donne), 100 e 890 rispettivamente i medici e i posti-letto disponibili (.. per gli eletti).

La vita media in Albania alla vigilia della 2a guerra mondiale era di 38 anni!

Fu la lotta nazional-rivoluzionaria, condotta dalle masse contadine e dai ristretti nuclei di operai contro gli sfruttatori, sia stranieri che interni, a buttare a mare latifondi, servitù e tribalismo, e creare così le premesse per la costruzione di quel socialismo, che forse meglio potremo definire capitalismo nazionale dai caratteri “autoritari”. L’ “autarchia” “socialista” era la forma con la quale questa fase di costruzione nazionale si presentava.


In un paese devastato da un capo all'altro dalla guerra, la produzione industriale e agricola raggiunse già nel 1946 il livello del 1938. Tra il '49 e il '69 la produzione industriale aumentò di 59 volte, arrivando a costituire il 60% del PNL. Furono installate miniere di carbone, di cromo, di ferro-nickel, impianti per l'estrazione e la lavorazione del petrolio, complessi siderurgici, fabbriche tessili e alimentari. La rete ferroviaria (il cui primo tronco fu varato nel '47) è arrivata a contare 215 km; l'energia elettrica prodotta nel paese (che nel '38 era di appena 2 milioni di kwh) è giunta a 4 miliardi di kwh, grazie all'entrata in funzione di un centinaio di centrali idroelettriche, di alcuni complessi termoelettrici e di un reticolato di linee di distribuzione di oltre 2.500 km.

Parallelamente la popolazione urbana è cresciuta dal 10 al 40% di quella complessiva, con la formazione di una moderna classe operaia (350 mila unità – il 19% degli occupati –, di cui la metà donne).

Alla fine degli anni '70, l'attività agricola, che ha visto raddoppiare la superficie coltivabile grazie al prosciugamento delle paludi, è condotta da 2.000 cooperative "colcosiane" e una quarantina di aziende di Stato; esse dispongono di 10.500 trattori (nel '38 in tutto il paese ce n'erano30!) e di175 kg di concime per ha. Nel frattempo l'analfabetismo è crollato a zero; dalla babele di dialetti esistenti nel '38 si è quasi giunti all'unificazione linguistica; il numero degli studenti è salito da 2.600 (1938) a 540 mila. Il numero dei medici e dei posti-letto rispettivamente a 14.700 e 150.030 (su una popolazione di 3 milioni di abitanti).

Nel 1983 la vita media è di 70,4 anni!

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