Sit-in per gli operai dell'Adelchi di Tricase a Roma sotto la Regione Puglia

CSLS - Comitato Sostegno Lavoratori Salentini

NON PIU' SALENTO DA SFRUTTARE!

domenica 20 dicembre 2009

Quotidiano di Lecce sul sit-in di giovedi




venerdì 18 dicembre 2009

sit-in del 17 dicembre alla sede della regione Puglia

Sit-in riuscitissimo, grazie a tutti coloro che hanno partecipato!!


Comitato Sostegno Lavoratori Salentini

mercoledì 16 dicembre 2009

presidio di fronte la sede della Regione Puglia

Giovedì 17 Dicembre alle ore 09.30 si terrà il presidio di fronte la sede della Regione Puglia a ROMA Via Barberini 36.
Diremo BASTA all'indifferenza e alla rassegnazione!
E' nato qualcosa di nuovo!
Non permetteremo più ai padroni di fare i loro sporchi comodi e di giocare con la vita degli operai!
Diremo BASTA ad Adelchi e a ogni forma di sfruttamento delle persone e del territorio!!
Partecipate numerosissimi e parlate e gridatelo a tutti!Non restiamo più in silenzio!

RUMORI DAL SALENTO!


Comitato Sostegno Lavoratori Salentini

domenica 13 dicembre 2009

LICENZIAMENTI E DELOCALIZZAZIONE!!TUTTO QUESTO E' CRIMINALE!!!

Filanto e Adelchi, licenziamenti e speculazioni.
I calzaturifici FILANTO di Casarano e ADELCHI di Tricase hanno deciso di confermare la loro politica aziendale che prevede il licenziamento completo di tutti gli operai, la chiusura delle fabbriche nel Salento ed il loro trasferimento nei paesi del Terzo Mondo.
Questa politica di licenziamento nel Salento e trasferimento delle fabbriche è a completamento di quanto gli industriali hanno già fatto negli ultimi anni che ha comportato, solo nel comparto calzaturiero, il licenziamento di circa 13.000 operai.
Tutto questo è avvenuto ed avviene nonostante l’aumento delle commesse e la concessione di enormi benefici e finanziamenti pubblici in favore degli industriali per garantire l’occupazione.
Fino al 1991, l’intero ciclo produttivo della Filanto avveniva nel Salento, negli stabilimenti di Casarano e Patù, con la produzione di 30.000 paia di scarpe al giorno.
Nel 1993, Filanto ha cominciato a trasferire il 60% della produzione all’estero, iniziando dall’Albania, grazie ad accordi e concessioni effettuati dal governo italiano. Nel 2006 la produzione all’estero aveva superato il 70%.
In base a questi accordi, il governo italiano finanziava la chiusura degli stabilimenti in Italia, finanziava il trasferimento, finanziava l’apertura all’estero. Lo stato italiano, sempre in base a questi accordi, non richiede agli industriali nemmeno le tasse ed i dazi di ritorno dei prodotti dall’estero. l’operazione è chiamata TPP (Traffico di Perfezionamento Passivo).
Con successivi accordi governativi, Filanto ha aperto stabilimenti, oltre che in Albania, in Ucraina, Bulgaria, Argentina, Bangladesh e India. Si prevedono aperture in Serbia, Montenegro, Afghanistan ed Iraq una volta “pacificati”.
L’unico motivo del trasferimento è costituito dallo scarso costo della manodopera. In Albania un operaio è pagato da Filanto con tre euro al giorno, mentre in Bulgaria con soli settanta centesimi.
Non c’è stata mai nessuna riduzione delle commesse. La crescita dell’impresa è aumentata dell’11,11%, la produzione è aumentata da 30 mila a 50 mila paia di scarpe al giorno, la percentuale di vendita del prodotto è aumentata nei mercati europeo ed extraeuropeo con relativo aumento di fatturato, di capitale e di profitto (ma non di posti di lavoro in Italia).
Filanto non solo ha portato il lavoro fuori dall’Italia, ma non ha fatto rientrare nel paese i profitti ottenuti. Questi profitti prendono la via dei paradisi fiscali, dei fondi pensione, dei fondi di investimento in altri paesi.
Filanto è stata la prima azienda italiana a compiere questa politica di delocalizzazione, ad utilizzare i TPP, dal 1993.
Ma visto l’enorme profitto che si consegue, successivamente è stata seguita da altre aziende di tutta Italia. Le aziende del settore nel 1990 avevano in tutto 700 mila operai in Italia. Fino al 1998 hanno portato all’estero la lavorazione, operando 330 mila licenziamenti.
Dei profitti conseguiti, solo nel 1998 sono stati esportati all’estero 80 mila miliardi di lire, pari a 41 miliardi di euro.
Lo sfruttamento e la speculazione sulle spalle dei lavoratori e delle popolazioni del Terzo Mondo è palese.
Negli anni scorsi, Filanto aveva mantenuto in Italia il 30% della produzione solo per limitare il rischio che si poteva determinare dalla realizzazione produttiva in paesi istituzionalmente ed economicamente non ancora sicuri.
Tale margine di insicurezza è stato ridotto e quasi eliminato a causa dell’intervento e della presenza militare italiana. Le forze speciali dell’esercito, dietro la scusa delle missioni di pace, garantiscono all’estero gli affari degli industriali italiani. La Marina Militare Italiana garantisce la scorta del trasporto delle merci.
Ora Filanto si appresta a trasferire all’estero anche il restante 30% della produzione. Dei 3.500 operai occupati fino al 1991, ne rimarranno al massimo cento, comunque da riconvertire.
Nonostante ciò, nonostante Filanto abbia da anni dichiarato a più riprese che chiuderà il suo stabilimento salentino, lo stato continua ad elargire finanziamenti per l’ammodernamento degli impianti. Ammodernamento mai attuato. La fabbrica utilizza vecchi macchinari obsoleti, senza pezzi di ricambio. La manutenzione e le riparazioni sono effettuate direttamente dagli operai con la paura che il guasto potrebbe fermare la produzione e provocargli il licenziamento.
Il calzaturificio Adelchi di Tricase nel 1990 aveva un fatturato di 250 miliardi, 2.200 dipendenti (6.000 con l’indotto) assunti dietro enormi benefici pubblici.
Per l’assunzione dei lavoratori, Adelchi è ricorsa spesso a forme precarie e flessibili quali i ripetuti contratti di formazione lavoro. Avrebbe ottenuto anche strutture e macchinari a costi agevolati; certo ha beneficiato dell’assegnazione degli stabilimenti ex Tabacchifici Bantivoglio concessi dalle istituzioni le quali hanno escluso da tale assegnazione agevolata i lavoratori e gli artigiani locali, abbandonati e discriminati.
Adelchi sarebbe stato condannato dal Tribunale Penale di Lecce il 9.1.2001 in quanto, con operazioni doganali di esportazione e di importazione ritenute fittizie, nonché sull’emissione di fatture ritenute false, avrebbe ottenuto un fatturato diverso da quello effettivo, conseguente ad aver fatto apparire costi superiori a quelli reali e ricavi puramente apparenti.
Adelchi produce 12 milioni di scarpe l’anno, nel 2006, ma invece delle migliaia di operai oggi ha solo 650 dipendenti, quasi sempre in cassa integrazione.
Le scarpe vengono prodotte altrove. In pratica, Adelchi, dopo aver ottenuto benefici per occupare disoccupati nel Salento, ha licenziato tutti e trasferito la produzione in Albania, Romania, Bangladesh ed anche in Etiopia.
Il costo di un operaio in questi paesi è di 25 dollari al mese. Con lo stipendio di un operaio italiano si pagano 100 operai africani.
Adelchi è stato inquisito per malversazione ai danni dello Stato. Avrebbe ottenuto dallo stato tre milioni di euro per costruire a Tricase un nuovo calzaturificio che avrebbe garantito anche nuovi posti di lavoro. Invece quei soldi sono stati utilizzati per le sei aziende di famiglia all’estero.
Il trasferimento all’estero, dicevamo, avviene per sfruttare i bassissimi costi di manodopera. E’ chiaro che non si può proporre a nessuno in Italia di guadagnare solo un euro al giorno. Altrettanto chiaro è che un salario del genere non si può proporre nemmeno in Francia o Germania. Il trasferimento avviene verso quei paesi ricattati dalla miseria, dalla fame e dalle guerre scatenate dagli stessi paesi occidentali.
Pagare un operaio con un euro al giorno significa mantenerlo nella fame, nella disperazione totale.
Ecco perché queste popolazioni emigrano in Italia. Scappano dalla fame generata dagli industriali italiani. Gli stessi che licenziano in Italia creando disoccupazione e criminalità. Gli stessi industriali che ci mettono contro gli immigrati.
Gli immigrati sono vittime del medesimo disegno speculativo dei padroni italiani. Il licenziamento in Italia è uguale al loro affamamento. La fame nel mondo esiste per queste speculazioni e sfruttamento. Noi dobbiamo unirci con gli immigrati contro il comune nemico.
Tutto questo è avvenuto con la complicità dei partiti – anche di sinistra – e dei sindacati – specie CGIL, CISL e UIL - che non hanno perso tempo a firmare ed accettare il licenziamento dei lavoratori. I sindacati non solo non hanno accennato ad una minima protesta, ma hanno fatto di tutto per convincere gli operai ad accettare la cassa integrazione ed i licenziamenti, hanno fatto di tutto per convincere gli operai a subire la politica aziendale.
Ecco perché non hanno mai voluto organizzare alcuna lotta. Nemmeno uno sciopero.
Ogni lotta intrapresa dagli operai, veniva spezzata dai sindacati che sottoscrivevano accordi con padrone ed istituzioni con i quali promettevano il rientro in fabbrica posticipato; poi rinviato; mai rispettato.
I sindacati dicevano ai lavoratori di aspettare, di non protestare, di fidarsi del padrone e che presto sarebbero rientrati in fabbrica come prevedevano gli accordi firmati dal 2002. Intanto il padrone portava via i macchinari alla luce del sole e nessun lavoratore è rientrato.
Gli accordi si sono rivelati sempre una presa in giro.
CGIL, CISL e UIL, per smontare la lotta degli operai Adelchi intrapresa ininterrottamente dal mese di settembre 2009, il 7 ottobre 2009 addirittura hanno firmato un accordo con il padrone che prevede il ritorno in fabbrica di soli 10 lavoratori anziché di tutti gli 806 operai.
La Chiesa ci chiede sempre soldi per elemosinare la fame nel mondo ma non dice nulla sui licenziamenti, né sulle cause che determinano la fame. Il suo silenzio è complicità.
Il parlamento emette leggi che dichiara non punibili queste ingiustizie, di fatto legalizzandole. Le istituzioni non chiedono la restituzione dei benefici prima concessi, né dei soldi dati come finanziamento. I padroni rimangono impuniti, continuano a speculare. Per loro la disoccupazione è un affare. I lavoratori licenziati devono emigrare.

DELOCALIZZAZIONE E SPECULAZIONE

ADDIO LAVORO NEL PAESE DELLE SCARPE.
LA PRODUZIONE TRASLOCA IN ETIOPIA.
Così titolava un’inchiesta pubblicata dal quotidiano La Repubblica nel marzo 2006 rappresentando gli sprechi, i licenziamenti ed il dramma dei lavoratori e dei cittadini del comprensorio di Tricase e Casarano, colpiti dalla delocalizzazione delle fabbriche calzaturiere.
Il calzaturificio Adelchi di Tricase dal 1990 aveva un fatturato di 250 miliardi, 2200 dipendenti (6.000 con l’indotto) assunti dietro enormi benefici pubblici.
Per l’assunzione dei lavoratori, Adelchi è ricorsa spesso a forme precarie e flessibili quali i ripetuti contratti di formazione lavoro. Avrebbe ottenuto anche strutture e macchinari a costi agevolati; certo ha beneficiato dell’assegnazione degli stabilimenti ex Tabacchifici Bantivoglio concessi dalle istituzioni le quali hanno escluso da tale assegnazione agevolata i lavoratori e gli artigiani locali, abbandonati e discriminati.
Nel maggio del 2005, Adelchi, unitamente a Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, sarebbe comparso davanti la Corte di Giustizia Europea (Grande Sezione) chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione delle direttive europee in riferimento alla decreto legislativo sul falso in bilancio n. 61 del 11.4.2002. Tale decreto, come è noto, ha depenalizzato il reato rendendo, di fatto, impuniti i colpevoli. In precedenza, Adelchi sarebbe stato condannato dal Tribunale Penale di Lecce il 9.1.2001 in quanto, con operazioni doganali di esportazione e di importazione ritenute fittizie, nonché sull’emissione di fatture ritenute false, avrebbe ottenuto un fatturato diverso da quello effettivo, conseguente ad aver fatto apparire costi superiori a quelli reali e ricavi puramente apparenti.
Adelchi produce 12 milioni di scarpe l’anno, nel 2006, ma invece delle migliaia di operai oggi ha solo 650 dipendenti, quasi sempre in cassa integrazione.
Le scarpe vengono prodotte altrove. In pratica, Adelchi, dopo aver ottenuto benefici per occupare disoccupati, ha licenziato tutti e trasferito la produzione in Albania, Romania, Bangladesh ed anche in Etiopia.
Il costo di un operaio in questi paesi è di 25 dollari al mese. Con lo stipendio di un operaio italiano si pagano 100 operai africani.
Quanto commesso da Adelchi è stato perpetrato dalla maggior parte degli industriali che negli ultimi 15 anni avevano impiantato nel Salento fabbriche calzaturiere, tessili e di abbigliamento dietro enormi benefici statali.
Il calzaturificio Filanto di Casarano nel 1991 aveva 5 stabilimenti, 11,5 milioni paia di scarpe vendute, un fatturato di 316 miliardi e circa 6.000 dipendenti, ora ha trasferito la produzione in Egitto, in Etiopia ed in India.
Così la FIAT, negli anni ’70 aveva aperto uno stabilimento di macchine movimento terra a Lecce per assumere 5.000 disoccupati per i quali, nel corso degli anni, ha ricevuto dallo Stato un miliardo di vecchie lire per ogni operaio assunto.
Dopo aver preso i soldi, la Fiat ha licenziato e le poche centinaia di operai rimasti devono lottare con la cassa integrazione, sempre a carico dello Stato.
Adelchi, Filanto, Fiat. Ma l’elenco delle aziende che hanno aperto nel Salento o, addirittura, fatto finta di aprire, per occupare manodopera con lauti finanziamenti o agevolazioni pubbliche, è abbastanza lungo.
Vista la breve durata dell’esistenza di Adelchi ed i problemi che questa ha provocato ai lavoratori ed al territorio così colpito dai licenziamenti e dalla disoccupazione, sarebbe stato meglio assegnare quei benefici e gli stabilimenti agli artigiani locali che ne avevano fatto richiesta e che l’amministrazione di Tricase ha ignorato ingiustamente. Anche perché i problemi che hanno provocato la chiusura di Adelchi erano già prevedibili allora.
Il parlamento emette leggi che dichiara non punibili queste ingiustizie, di fatto legalizzandole. Le istituzioni non chiedono la restituzione dei benefici prima concessi, né dei soldi dati come finanziamento. I padroni rimangono impuniti, continuano a speculare. Per loro la disoccupazione è un affare. I lavoratori licenziati devono emigrare.

domenica 6 dicembre 2009

CON ORDINE DI SERVIZIO DEL 4 DICEMBRE 2009, LA DIRIGENZA DEL TRIBUNALE DI ROMA HA DISPOSTO L’IMMEDIATO TRASFERIMENTO DI TUTTO IL PERSONALE DI CANCELLERIA ADDETTO ALL’UFFICIO ISCRIZIONI RICORSI CON LA CONSEGUENTE CHIUSURA DELL’UFFICIO GIA’ COLPITO IN PRECEDENZA DA POLITICHE DI SVUOTAMENTO DEL PERSONALE E DEI MAGISTRATI.
CIO’ COMPORTA L’ABOLIZIONE DELLA GIUSTIZIA DEL LAVORO E, QUINDI, IL DINIEGO DEI DIRITTI DEI LAVORATORI.
SERVE UNA IMMEDIATA RISPOSTA A TALI DECISIONI ED A QUESTA POLITICA.
APPUNTAMENTO PER MERCOLEDI’ 9 DICEMBRE 2009 ALLE ORE 9.00 DAVANTI AL TRIBUNALE DEL LAVORO DI ROMA, VIALE GIULIO CESARE N. 54, PER DARE UNA IMMEDIATA RISPOSTA E TROVARE INIZIATIVE PIU’ VISIBILI E CORPOSE.

secondo incontro del CSLS!Volantinaggio!

I volantini rigurdanti la seconda riunione del CSLS che si terrà venerdì 11 Dicembre 2009 alle ore 20:30 sono pronti!!Abbiamo bisogno di voi per diffondere la notizia dell'incontro,chiunque avesse intenzione di collaborare ci contatti!

giovedì 3 dicembre 2009

COMUNICATO STAMPA

COMUNICATO STAMPA

Negli anni ’80 il Salento ha visto la trasformazione dell’attività economica da agricolo - artigianale ad industriale. Con enormi finanziamenti e benefici fiscali in favore di padroni ed industriali, sono state impiantate centinaia di fabbriche solo di settori sulla cui produzione incideva maggiormente la forza lavoro (tessile, calzaturiero, confezioni, ecc.).

In pratica, il motivo della industrializzazione del Salento consisteva nel beneficio di finanziamenti pubblici e sullo sfruttamento di manodopera a basso costo e ciò con la scusa di creare occupazione. Da alcuni anni, però, nel Salento è in corso la più massiccia delocalizzazione delle fabbriche. La politica aziendale degli industriali prevede il licenziamento di migliaia di operai, la chiusura delle fabbriche nel Salento ed il loro trasferimento nei paesi del Terzo Mondo dove pagano con un euro al giorno i lavoratori ricattati dalla fame.

Questa politica di licenziamento nel Salento e trasferimento delle fabbriche ha comportato, solo nel comparto calzaturiero, il licenziamento di oltre 10.000 operai. I calzaturifici Adelchi di Tricase e Filanto di Casarano ne sono un esempio.
Tutto questo è avvenuto ed avviene non per la crisi economica. Anzi, avviene nonostante l’aumento delle commesse, l’aumento del fatturato, l’aumento dei profitti e la concessione di enormi benefici e finanziamenti pubblici in favore degli industriali per garantire l’occupazione.
E’ chiaro che tutta questa politica delle aziende crea disoccupazione nel Salento e affamamento delle popolazioni del Terzo Mondo.
Negli ultimi mesi si registrano ulteriori licenziamenti. Solo nel comparto calzaturiero si prevedono ulteriori 1.600 licenziamenti che incideranno tragicamente sull’economia del territorio al punto da renderla arida e senza futuro, garantendo alla popolazione solo disoccupazione ed emigrazione. Il Salento, quindi, è stato considerato come una terra di conquista, dove speculare, distruggere il territorio, ottenere il massimo profitto e scappare via.
Il Salento è stato considerato come un limone da spremere e poi buttarlo via.
Queste ingiustizie sono avvenute ed avvengono con la complicità di tutte le istituzioni nazionali e delle amministrazioni locali che finanziano i padroni e li aiutano a licenziare gli operai. I sindacati si sono resi complici di questo delitto.

TUTTO QUESTO E’ CRIMINALE !

Noi salentini, studenti e lavoratori fuorisede, sentiamo l’esigenza di dire basta alle ingiustizie cominciando a combattere chi vuole speculare sulla vita dei lavoratori e dell’intera popolazione salentina.
Riteniamo di doverci far sentire contro la passività, contro l’indifferenza, contro la rassegnazione, contro le ingiustizie.
Abbiamo deciso, quindi, di costituire un comitato di sostegno alle lotte dei lavoratori che rivendicano la salvaguardia del posto di lavoro, il blocco totale dei licenziamenti e della cassa integrazione, il rientro in fabbrica di tutti i lavoratori – nessuno escluso – il salario per tutti.
Affermiamo che nel Salento non ci siano più licenziamenti. Nessun posto di lavoro deve essere toccato.
Filanto ed Adelchi e le altre aziende devono immediatamente revocare i licenziamenti e la cassa integrazione ed aumentare l’occupazione !
Intraprenderemo tutte le iniziative possibili e dirette a raggiungere questo traguardo ed affinché il Salento non sia più una terra di conquista ed i salentini non più limoni da spremere e buttare. Dobbiamo avere la consapevolezza che la ragione sta solo dalla nostra parte.
Invitiamo tutti ad una più ampia partecipazione ed adesione a questa iniziativa, in maniera compatta ed unita, perché uniti saremo forti e forti vinceremo.


Roma, 28 novembre 2009.

Comitato di Sostegno ai Lavoratori Salentini

Volantino assemblea del 2 dicembre alla Ex-Snia

LA LOTTA DEGLI OPERAI ADELCHI E’ ANCHE PER IL FUTURO DI TUTTO IL SALENTO !

Gli operai del calzaturificio Adelchi di Tricase (Lecce), come gli operai Filanto di Casarano e delle decine di fabbriche salentine, sono vittime dell’arroganza e delle speculazioni padronali che considerano il Salento una terra di conquista ed i lavoratori salentini un limone da spremere e poi buttare.
Nonostante l’aumento di commesse, del fatturato e dei profitti, Adelchi e gli altri padroni licenziano gli operai, chiudono le fabbriche nel Salento e le trasferiscono nei paesi del Terzo Mondo dove pagano gli operai con un euro al giorno.
Questo avviene con la complicità delle istituzioni locali e nazionali le quali continuano a concedere benefici e finanziamenti in favore di questi speculatori.
Questo avviene con la complicità di quei sindacati che hanno dato il consenso ai licenziamenti e cassa integrazione rendendosi complici dello sfruttamento e delle speculazioni.
CGIL, CISL e UIL, all’esito della lotta degli operai Adelchi degli ultimi mesi, il 7.10.2009 hanno addirittura firmato con il padrone un accordo che prevede il ritorno in fabbrica di soli 10 lavoratori anziché di tutti gli 806 operai in cassa integrazione e dei 2000 licenziati.

Tutto questo è a dir poco scandaloso!

Sosteniamo la lotta degli operai Adelchi e delle loro rivendicazioni:
  1. La fabbrica deve riaprire per tutti 2.800 operai che devono essere rioccupati immediatamente, senza alcun rinvio, senza più accordi dei sindacati che si sono rivelati una presa in giro per gli operai;
  2. Adelchi e tutti gli altri padroni devono restituire tutti i soldi ricevuti come finanziamento e benefici con la scusa di creare e mantenere l’occupazione dei lavoratori nel Salento,
  3. Adelchi e gli altri padroni devono rispondere delle speculazioni che effettuano nei paesi del terzo mondo.
Invitiamo tutti a partecipare all’Assemblea Pubblica indetta per

MERCOLEDI’ 2 DICEMBRE 2009 alle ORE 20.30
a ROMA, presso CSOA EX SNIA, via Prenestina n. 173

per esprimere solidarietà ai lavoratori in lotta e trovare iniziative concrete di sostegno alle loro rivendicazioni.

Comitato di Sostegno ai Lavoratori Salentini