Sit-in per gli operai dell'Adelchi di Tricase a Roma sotto la Regione Puglia

CSLS - Comitato Sostegno Lavoratori Salentini

NON PIU' SALENTO DA SFRUTTARE!

domenica 13 dicembre 2009

DELOCALIZZAZIONE E SPECULAZIONE

ADDIO LAVORO NEL PAESE DELLE SCARPE.
LA PRODUZIONE TRASLOCA IN ETIOPIA.
Così titolava un’inchiesta pubblicata dal quotidiano La Repubblica nel marzo 2006 rappresentando gli sprechi, i licenziamenti ed il dramma dei lavoratori e dei cittadini del comprensorio di Tricase e Casarano, colpiti dalla delocalizzazione delle fabbriche calzaturiere.
Il calzaturificio Adelchi di Tricase dal 1990 aveva un fatturato di 250 miliardi, 2200 dipendenti (6.000 con l’indotto) assunti dietro enormi benefici pubblici.
Per l’assunzione dei lavoratori, Adelchi è ricorsa spesso a forme precarie e flessibili quali i ripetuti contratti di formazione lavoro. Avrebbe ottenuto anche strutture e macchinari a costi agevolati; certo ha beneficiato dell’assegnazione degli stabilimenti ex Tabacchifici Bantivoglio concessi dalle istituzioni le quali hanno escluso da tale assegnazione agevolata i lavoratori e gli artigiani locali, abbandonati e discriminati.
Nel maggio del 2005, Adelchi, unitamente a Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, sarebbe comparso davanti la Corte di Giustizia Europea (Grande Sezione) chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione delle direttive europee in riferimento alla decreto legislativo sul falso in bilancio n. 61 del 11.4.2002. Tale decreto, come è noto, ha depenalizzato il reato rendendo, di fatto, impuniti i colpevoli. In precedenza, Adelchi sarebbe stato condannato dal Tribunale Penale di Lecce il 9.1.2001 in quanto, con operazioni doganali di esportazione e di importazione ritenute fittizie, nonché sull’emissione di fatture ritenute false, avrebbe ottenuto un fatturato diverso da quello effettivo, conseguente ad aver fatto apparire costi superiori a quelli reali e ricavi puramente apparenti.
Adelchi produce 12 milioni di scarpe l’anno, nel 2006, ma invece delle migliaia di operai oggi ha solo 650 dipendenti, quasi sempre in cassa integrazione.
Le scarpe vengono prodotte altrove. In pratica, Adelchi, dopo aver ottenuto benefici per occupare disoccupati, ha licenziato tutti e trasferito la produzione in Albania, Romania, Bangladesh ed anche in Etiopia.
Il costo di un operaio in questi paesi è di 25 dollari al mese. Con lo stipendio di un operaio italiano si pagano 100 operai africani.
Quanto commesso da Adelchi è stato perpetrato dalla maggior parte degli industriali che negli ultimi 15 anni avevano impiantato nel Salento fabbriche calzaturiere, tessili e di abbigliamento dietro enormi benefici statali.
Il calzaturificio Filanto di Casarano nel 1991 aveva 5 stabilimenti, 11,5 milioni paia di scarpe vendute, un fatturato di 316 miliardi e circa 6.000 dipendenti, ora ha trasferito la produzione in Egitto, in Etiopia ed in India.
Così la FIAT, negli anni ’70 aveva aperto uno stabilimento di macchine movimento terra a Lecce per assumere 5.000 disoccupati per i quali, nel corso degli anni, ha ricevuto dallo Stato un miliardo di vecchie lire per ogni operaio assunto.
Dopo aver preso i soldi, la Fiat ha licenziato e le poche centinaia di operai rimasti devono lottare con la cassa integrazione, sempre a carico dello Stato.
Adelchi, Filanto, Fiat. Ma l’elenco delle aziende che hanno aperto nel Salento o, addirittura, fatto finta di aprire, per occupare manodopera con lauti finanziamenti o agevolazioni pubbliche, è abbastanza lungo.
Vista la breve durata dell’esistenza di Adelchi ed i problemi che questa ha provocato ai lavoratori ed al territorio così colpito dai licenziamenti e dalla disoccupazione, sarebbe stato meglio assegnare quei benefici e gli stabilimenti agli artigiani locali che ne avevano fatto richiesta e che l’amministrazione di Tricase ha ignorato ingiustamente. Anche perché i problemi che hanno provocato la chiusura di Adelchi erano già prevedibili allora.
Il parlamento emette leggi che dichiara non punibili queste ingiustizie, di fatto legalizzandole. Le istituzioni non chiedono la restituzione dei benefici prima concessi, né dei soldi dati come finanziamento. I padroni rimangono impuniti, continuano a speculare. Per loro la disoccupazione è un affare. I lavoratori licenziati devono emigrare.

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